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corso 22 marzo e Milano est Mazzarella a Milano
 
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Intervista a Piero Mazzarella
Intervista a Piero Mazzarella

 


 

Non sono un uomo facile"
intervista con Piero Mazzarella

Grazie a Piero Mazzarella per la conversazione che ci ha concesso, in una sera di dicembre, prima di una replica del suo “Dammatrà” al teatro Oscar: un incontro personale che prosegue il dialogo di ogni sera con gli spettatori. Parlare con il nostro maggiore attore dialettale, conoscerlo, per quello che è possibile nel tempo di un’intervista, dà alle sue parole sul palcoscenico un diverso spessore: in ognuna senti non più solo un copione recitato, pur, come si dice, da par suo, ma la sensibilità di un uomo maturato attraverso il filtro di decine di testi teatrali e alcuni cinematografici infinti casi, situazioni, vicende della vita. Nelle sue parole, che qualcuno ha definito “voce delle nebbie”, senti l’amore e l’amarezza, senti la nostalgia per un teatro in cui è apprezzato chi vale e non personaggi costruiti e sostenuti da meriti conseguiti altrove o addirittura inesistenti e per una società più semplice, più povera, più solidale.

Sono fatto alla mia maniera
Commendatore della Repubblica per meriti artistici a trentatré anni, premio san Genesio, il più prestigioso premio teatrale italiano, due Maschere d’oro, per citare solo i più importanti, Piero Mazzarella, simbolo del teatro dialettale contemporaneo, racconta di avere abbandonato in cantina quintali di trofei e di coltivare edera nelle due sole grandi coppe rimaste in casa, perché non si vedano: non che non facciano piacere, dice, ma non mi interessano. In un mondo di immagini per figurare diversi da quello che si è, Mazzarella nel teatro porta la sua autenticità, a costo di essere scomodo fino alla polemica, pur di non rinnegare i principi umani e artistici ai quali ha sempre voluto ispirare il suo lavoro e il suo stile di vita.
Ha tenuto scuole di recitazione –oggi non vale più la pena nemmeno di insegnare, si rammarica-, ha diretto teatri e la rete televisiva TeleMilano, antenata di Canale 5, ma sempre operando le sue scelte con libertà, prendendo le distanze da chi non gli piace o non gli piace più, rifiutando le imposizioni dei dirigenti. Amo la famiglia, la casa, la tranquillità, i pochi amici e faccio quello che voglio, anche in un mondo dal quale si sente lontano, rinunciando a inseguire il successo, che peraltro non gli manca, neppure sull’onda di uno spettacolo riuscito, senza prendere ordini, senza compiacenze che potrebbero giovare alla pubblicità. Ho dalla mia la forza della ragione: sono loro che devono tacere. Eppure, anche chi lo sa lontano dalle sue idee lo apprezza, come quell’Ettore Albertoni, assessore regionale leghista e membro del CdA della RAI che, ricorda Mazzarella, è innamorato di me, mi ha sempre cercato e sostenuto.
La musica, la pittura, la scultura, il teatro, il cinema, anche se arte minore, per prima cosa devono dare emozioni: quando un contadino senza cultura va al Louvre e si ferma venti minuti davanti a un quadro, ha scoperto la pittura anche se non ne conosce la storia, anche se non ne sa esprimere le ragione. Negli spettacoli di Mazzarella le emozioni non mancano, insieme alla volontà di dialogo: vuole dire quello che ha dentro, tanto che alle parole del copione si sovrappongono giudizi personali, allusioni a personaggi del presente, commenti al giornale di oggi. “Qui è Mazzarella che parla….”, interrompe così, per considerazioni estemporanee suggerite dal testo, “Vecchia Europa”, in cui dà voce ai quindici personaggi di una sceneggiatura cinematografica non realizzata di Delio Tessa, rappresentata nello scorso novembre al Piccolo Teatro; “adesso torniamo al personaggio….” riprende in “Dammatrà”, dopo qualche personalissima intrusione fra le nostalgie del vecchio protagonista, custode di un teatro in demolizione. Ogni sera, per ringraziare degli applausi, quasi a concedere i tradizionali bis, qualche altra goccia della sua visione della vita, del suo rimpianto di valori che sente perduti.

Il popolo: un maestro
Questi valori, il parlare genuino delle gente, una società che non c’è più sono la motivazione profonda della sua predilezione per il dialetto e non solo lombardo, che definisce la forza delle nostre culture. La cultura di Mazzarella non viene dai grandi drammaturghi che ha portato in scena negli oltre sessant’anni della sua carriera di attore: Shakespeare, Moliére, Hugo anche loro traggono alimento da quel popolo che è vero maestro, con i suoi problemi, le sue paure, gli sfruttamenti, le ingiustizie, i sentimenti….. E questo popolo si esprime nel dialetto, o, meglio, nei tanti dialetti delle tante regioni italiane: non certo strumento politico di divisione, ma ascolto attento della voce della gente.
Mazzarella ricorda i grandi maestri della letteratura dialettale, da Ruzante a Belli, a Goldoni: in gennaio inizierà le prove dei ”Rusteghi” con cui tornerà a Milano in primavera. Il copione di un noto classico sarà più vincolante dei testi degli ultimi spettacoli, ma la scelta è coerente con la personalità umana e artistica del nostro attore al quale questi rusteghi –intraducibile espressione dialettale-, personaggi scomodi della generazione passata, quasi sopravvissuti, assomigliano moltissimo.
Gli ultimi cento anni di teatro italiano non hanno espresso significative novità: non mancano “geniacci”, come Dario Fo, Giovanni Testori, Eduardo De Filippo, ma non hanno superato la grande tradizione del teatro dialettale, semmai l’hanno riportata all’attenzione del pubblico. Fra i testi che meritano attenzione nella produzione recente, Mazzarella segnala “I Promessi Sposi alla prova”, una singolare rilettura in versione teatrale di Testori del romanzo manzoniano portata sulla scena da Franco Parenti nel teatro che ora porta il suo nome e ripresa dalla stessa compagnia con Gianrico Tedeschi, bravo!, nel ruolo principale del maestro. Questo originale connubio fra due artisti lombardi potrebbe essere un impegno per una prossima stagione?

In Dio non credo, ma non ne ho paura
Cristiano, cattolico e battezzato, da ragazzo corista nel duomo di Milano, sono diventato agnostico nel corso della vita. Mazzarella sui preti esprime giudizi pesanti e gli attribuisce due errori gravissimi da porre fra le cause del degrado del nostro tempo: da una parte pretendono con tante parole di spiegare il mistero; dall’altra vorrebbero un mondo senza peccati, togliendo perfino quello originale, senza accettare che il peccato è una realtà non sopprimibile. I ragazzi devono conoscerlo e sapere che la via del bene è più aspra di quella del male: scelgano con consapevolezza e senza inganni. Ma la fede, se si accetta, deve essere mantenuta nella sua purezza e nella sua interezza: il Padre eterno non ha nessun dovere di spiegare nulla. E cita Trilussa, ricordando di essere stato forse l’unico milanese al suo funerale: “la fede è bella senza dir però; // senza forse e senza dir perché”.
Deluso dalla grande baracca che è la Chiesa cattolica -ha fatto più danni di Hitler-, Mazzarella esprime apprezzamento per alcuni pontefici, da Pio X, un brav’uomo, a Giovanni XXIII, tutta bontà; a Paolo VI, con il quale si compiace di aver avuto un colloquio e di essere ritratto in una gigantografia, meno popolare, ma di grande cultura; a Giovanni Paolo II che gli fa molta pietà perché morirà senza riuscire a rammendare il manto pieno di buchi della chiesa. Ma ha tirato la barba a Fidel Castro, che dopo due mesi ha liberato seimila prigionieri, e ha ridimensionato Clinton”.
Mazzarella crede comunque di essere tra i pochi, anche fra i suoi colleghi, che non hanno mai bestemmiato e che fingono poi improbabili pentimenti: con sincerità ogni sera si interroga sulla vita: “che cosa ho fatto oggi?” e siccome posso addormentarmi tranquillo, questa è una preghiera migliore delle orazioni biascicate senza caprine il senso e senza discuterle. Così non ho nessuna paura del Padre eterno, anche se non ci credo.

Porta Romana
L’ultima domanda è sulla nostra zona, alla quale Piero Mazzarella è particolarmente affezionato: ci ha vissuto da ragazzo, ha recitato sulle scale di casa chiedendo cinq ghei per il gelato ai vicini…. Sostenitore e difensore della milanesità, Mazzarella fatica ormai a trovare una portaromanità: non c’è più. Sono solo ricordi di quelli della mia età: quando ci ritroviamo ne riparliamo, ma dopo di noi non c’è più nessuno. Rimpianto dunque per quella perduta solidarietà dei diseredati: il marito della portinaia faceva el manetta, il tranviere, con turno di notte e dormiva al pomeriggio. Bastava che la portinaia lo dicesse, perché tutti noi ragazzi smettessimo di giocare con l’inevitabile baccano.
Un rispetto davvero da rimpiangere, una nostalgia a cui invitano tanti spettacoli di Mazzarella, la sua voce che viene da lontano, che evoca nebbia e navigli; il suo passo lento che rimanda a tempi con meno fretta e più tolleranza. Si dice contento di essere invecchiato bene: ma davvero non c’è ricambio a quella generazione? Davvero non vale più la pena di insegnare?
On omm che el dis quel pocch che el sa; on omm che el dà quel pocch che el gh’ha; on omm che fa quel pocch che el pò; l’è on omm da rispettà: conclude citando suo nonno.
E grazie, comunque. Ugo Basso




Mazzarella
 
 
 
   
   

 
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